Articolo a cura di Giovanni Melappioni
Una rapida incursione fra antichità e medioevo, lungo quella linea sottile che fa da cesura fra due epoche e, proprio come il confine fra il cielo e il mare, risulta netto solo guardandolo da una certa prospettiva.
Infatti, sin dai tempi della scuola siamo abituati a considerare l'anno 476 d.C. come la fine di un'intera epoca, quella classica, in favore di un'età più violenta, caotica e culturalmente povera. I testi più semplici, addirittura, utilizzano illustrazioni nette con uomini in toga che fuggono dai barbari vestiti di pelli, palazzi e templi abbattuti e sostituiti con capanne di paglia. Un epilogo repentino, drammatico e ineludibile neanche fossimo a Berlino nell'aprile del 1945. Ovviamente non esiste una cesura netta fra il mondo romano e l'epoca dei regni barbarici. Il declino fu lento, ci volle quasi un secolo per arrivare a una sorta di epilogo e non fu certo un episodio unico, un Götterdämmerung fatale, a provocare la fine dell'impero occidentale. Con la deposizione di Romolo Augustolo e l'assassinio di Giulio Nepote, l'ultimo in grado di rivendicare un titolo che recava più onore che terra, terminò l'afflato elitario e conservatore di quei pochi che ancora cercavano spazio per la latinitas in un mondo che invece l'aveva non soppressa, ma malamente assorbita, delegittimandola del potere e relegandola nel mito ancestrale dei "bei tempi che furono". La fine di Roma, a partire dall'ultimo decennio del IV secolo, coincise con la fine non di un'unità ma di diverse enclavi politiche che si rifacevano direttamente agli ordinamenti dello stato romano ormai in pezzi. In quest'ottica rientra la storia che voglio raccontarvi, quella dell'ultimo magister militum dell'Impero Romano d'Occidente Afranio Siagrio.
La vicenda inizia con il tentativo di Maggiorano di restaurare l'autorità imperiale su territori persi per le invasioni delle prime stirpi barbariche agli inizi del V secolo. Uno dei suoi generali, Egidio, fu da questi inviato contro i Visigoti in Gallia. Tramite una brillante campagna militare Egidio riuscì a riportare sotto il controllo romano una notevole porzione della Francia settentrionale. Si trovava proprio nei territori appena conquistati, verosimilmente nella città di Novidunum (odierna Soissons), quando Maggiorano venne ucciso da uno dei suoi generali, Ricimero, e sostituito da un imperatore fantoccio. Egidio non accettò l'autorità dell'usurpatore e dichiarò il territorio da lui controllato in quel momento sotto l'autorità dell'imperatore d'Oriente. A causa dell'impossibilità di stabilire contatti diretti continuativi con la sede imperiale di Costantinopoli, Egidio divenne una sorta di re, per quanto egli non accettò mai questa definizione considerando sé stesso e il suo potere come parte dell'impero. Ricimero e Severo, l'imperatore da lui nominato, strinsero un'alleanza con i Visigoti per schiacciare Egidio ma questi riuscì a sconfiggere i suoi nemici a Orleans nel 463, conservando l'indipendenza dell'enclave gallica. Morì, però, avvelenato l'anno successivo. Un suo comes (ufficiale militare) di nome Paolo lo sostituì ma morì - o fu ucciso - pochi mesi dopo.
L'ultimo fuoco di Roma...
Va detto, soprattutto per le implicazioni successive, che sia Egidio che Paolo dovettero arruolare direttamente o tramite alleanze di breve durata, ingenti combattenti di origine franca i quali si dimostrarono irriducibili avversari dei Visigoti. Addirittura per un breve periodo sembra che Egidio divenne re dei Franchi a seguito della deposizione del merovingio Chilperico. Morto Paolo, l'enclave di Soissons venne tenuta in vita dal figlio di Egidio, Afranio Siagrio. Il fatto stesso che egli non fosse subentrato al padre al momento della morte ma dopo quella del più fidato collaboratore, è indice della volontà ferrea di non creare un nuovo, indipendente, potere usurpato alla legittimità della legge. Siagrio, al pari dei suoi predecessori, continuò a definirsi dux romanorum e a esercitare la carica di magister militum ma è evidente che deve sopperire a numerose mancanze dovute alla distanza e all'indifferenza del potere centrale, tant'è che lo stesso Gregorio di Tours narrandone la storia, lo chiamerà "re dei romani", in chiara contrapposizione con il temporaneo "re dei franchi" del padre Egidio. L'enclave di Soissons era un regno in tutto e per tutto tranne che nel pensiero di chi lo guidava, Siagrio infatti fece sempre riferimento ai legittimi imperatori dichiarandosi loro servitore. Siagrio era esperto di retorica, fine oratore e studioso degli autori del passato. La sua ostinata fedeltà per un regime ormai morente evoca il periodo della repubblica romana e i suoi eroici -spesso tragici- protagonisti.
Siagrio governò dal 466 al 486 e riuscì a mantenere intatti i propri confini grazie all'abilità militare e diplomatica. Fino a che regnò Chilperico (ritornato sul trono nel 467) infatti i Franchi rimasero sostanzialmente divisi in gruppi disomogenei. Tutto cambiò quando divenne loro re Clodoveo, figlio di Chilperico e notevolmente più abile del padre nell'accentrare intorno a sé l'intera tribù dei Franchi Salii. Sotto la guida del giovane e determinato re i Franchi iniziarono l'attacco finale al "regno" di Soissons. Siagrio cercò aiuto oltre la Manica, fra i romano-britanni che ancora identificavano sé stessi come eredi di Roma e che resistevano all'avanzata degli Angli e dei Sassoni. Non servì a nulla. Isolato combatté la sua ultima battaglia nei pressi della capitale, Soissons (486), dove subì la sconfitta definitiva. Fuggì e venne catturato dai Visigoti che non persero tempo a "donarlo" al potente Clodoveo, ora padrone di tutta la Gallia centro-settentrionale. Morì poco dopo, ucciso per ordine di Clodoveo. Con lo spirito di Siagrio, uomo "del passato", si spense anche l'ultima fiaccola di un mondo ormai scomparso. La fine, però, non portò totale oblio. Insieme alle imprese del misterioso Ambrosio Aureliano, dux romano-britannico, la strenua resistenza di Siagrio contribuì a ispirare la mitica figura di re Artù.
L'esercito di Siagrio
Dimentichiamo subito toghe e armature lamellari, le forze armate "romane" dell'epoca non somigliavano più alle iconiche immagini delle legioni augustee. Siagrio, come tutti i magister militum del suo secolo, comandava una forza composta da reclute prevalentemente di origine barbarica. Doveva, con tutta probabilità, avere al servizio diretto una o più unità di bucellarii, i soldati pagati direttamente dal comandante dell'esercito, una sorta di masnada allargata o banda armata privata. I limitanei al comando di suo padre, prima e di Paolo dopo erano poi il nerbo del suo esercito, ai quali occorre aggiungere un numero di coloni e leve di non facile calcolo. Sicuramente alcune migliaia altrimenti non si spiegherebbero gli anni di continua resistenza alle enormi pressioni ai confini. L'idea che non si reclutasse più nelle campagne in epoca tardo imperiale è falsa, esistono località ancora rinomate per la tempra degli abitanti, come l'Auvergne e l'Armorica, che parteciparono al comando di Ezio ai Campi Catalaunici contro gli Unni e poi, nel corso del VI secolo, opposero fiera resistenza al dominio dei Franchi. Molto interessante l'informazione che ci arriva direttamente dalla notitia dignitatum riguardo il dislocamento di una considerevole percentuale di cavalieri sarmati con tanto di famiglie nel nord della Gallia agli inizi del V secolo. Che cavalieri pesantemente corazzati fossero ancora a disposizione di Siagrio è un'informazione che nessuno potrà mai verificare, resta però intatto il fascino di questa ipotesi.
Bibliografia e note di approfondimento
- "Late Roman Warlords" di Penny MacGeorge, OUP Oxford (2003).
- "Barbarian Migrations and the Roman West, 376-568" di Guy Halsall, Cambridge University Press (2007).
- Pagina Facebook "Raccontare la Storia" di Giovanni Melappioni: www.facebook.com/Raccontarelastoria
Data di pubblicazione articolo: 10 Gennaio 2021
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