Articolo a cura di Andrea Contorni R.
Cinque titani per Capua
Da un lato il greco Plutarco (46-125 d.C.) nella sua Vita di Crasso, dall'altro Appiano di Alessandria, vissuto durante i regni di Traiano, Adriano e Antonino Pio, nell'opera Storia romana, infine Frontino (40-104 d.C.) in Stratagemmi per non dimenticare Floro (100-150 d.C.). Tutti questi basarono i loro scritti su opere anteriori elaborate da Sallustio e Livio di cui non ci rimangono che pochi frammenti. Cominciamo intanto a conoscere meglio i lottatori che tentarono di rovesciare l'Urbe. Crisso (nella sua lingua "dai capelli ricci") era un celta della tribù degli Allobrogi. Cadde prigioniero di Roma e finì acquistato da Batiato che ne fece un gladiatore. Era un campione dell'arena, noto per il suo coraggio e il suo ardore nel rispetto dell'origine gallica. Enomao era un veterano della scuola di Batiato. Morì un anno dopo lo scoppio della rivolta, nell'inverno del 72 a .C. Gannico e Casto si divisero dal gruppo di Spartaco nel 71 a .C. trovando la morte in Lucania in uno scontro con le legioni di Crasso.
Spartaco proveniva dalla Tracia, una regione a nord della Macedonia abitata da bellicose tribù e fonte di continui problemi per Roma. Erano gli anni difficili delle guerre Mitridatiche che si combatterono tra l'88 e il 63 a.C. Il bizzoso re del Ponto tentò con tutte le sue forze di espandere i suoi domini ai danni dell'Asia romana e della Grecia. Spartaco era un pastore dei Maedi, ma era prima di tutto un guerriero pronto a impugnare le armi per difendere il proprio villaggio. Fu arruolato nelle milizie ausiliare al servizio dei Capitolini. Disertò e si diede al brigantaggio. Fu catturato insieme ai suoi compagni e mandato in catene a Roma. Secondo Appiano invece, Spartaco scese in campo con la sua tribù contro le legioni, alleato proprio di Mitridate VI. C'è un particolare che fa propendere l'ago della bilancia verso la prima ipotesi.
Durante la rivolta, il gladiatore trace mostrò un'incredibile conoscenza delle tattiche di guerra romane, che poteva aver osservato e imparato proprio come ausiliario. Ovvio che Spartaco non si chiamasse affatto Spartaco. Questo nome gli fu affibbiato con molta probabilità dal lanista Batiato. Anche qui scaturiscono ben tre teorie. Spartacus come forma latinizzata di Sparadakos ovvero "famoso per la sua lancia", oppure da Spartakos, che poteva indicare o un luogo ben preciso della Tracia o un leggendario sovrano di quelle terre. Sta di fatto che una volta a Roma, venne venduto come gladiatore e finì a Capua nel ludus di Batiato, un ricco lanista che organizzava combattimenti privati per senatori, cavalieri e per chiunque potesse permettersi i suoi titani.
"Il mercato degli schiavi" di Gustave Boulanger, datato 1886. Collezione privata.
L'Ars Gladiatoria
Apro una brevissima parentesi sull'ars gladiatoria del tempo. Siamo nel I secolo a.C. e dunque dobbiamo rimuovere dalla nostra mente la figura del gladiatore così come sovviene nell'immaginario comune. Stesso discorso vale per il legionario. Il soldato romano ai tempi della Seconda Guerra Punica, per esempio, così come durante questa rivolta servile di cui vi sto parlando, non combatteva con la lorica segmentata che compare secoli dopo. Purtroppo film e serie tv seguono spesso alcuni modelli prestabiliti che si allontanano di parecchio dalla veridicità storica per favorire l'immaginario collettivo. Tornando ai gladiatori. Il I secolo a.C. rappresentò un anno di definizione dell'ars gladiatoria. Iniziarono a comparire le prime classi ben differenziate tra loro nello stile di combattimento e negli equipaggiamenti. Avvenne un passaggio dalla concezione quasi religiosa di gioco gladiatorio quale omaggio a un defunto, al concetto di combattimento tra gladiatori nell'ottica del puro e semplice spettacolo per la folla. All'inizio della loro storia nelle arene, questi combattenti si servivano soprattutto del classico gladio. Si difendevano con scudi, elmi e alcune protezioni per il corpo che richiamavano gli armamenti delle popolazioni sconfitte dall'Urbe, in primis sanniti, galli e traci. In epoche successive, durante l'impero, i gladiatori si caratterizzarono sempre più per assicurare un maggiore coinvolgimento degli spettatori che si identificavano nell'imponente murmillo di turno o nell'agile retiarus, armato di rete e tridente, o nel portatore di lancia, hoplomachus, fino alle classi più curiose (e persino leggendarie) come lo andabatae che combatteva senza vedere con un elmo privo di fessure per gli occhi. Ai tempi di Spartaco, comunque non esisteva nulla di quanto spiegato poc'anzi. Il nostro schiavo dovrebbe essersi ben presentato in quel di Capua, in quanto in poco tempo divenne uno dei capi riconosciuti tra i duecento combattenti di Batiato. Plutarco ci racconta che Spartaco viaggiava con la moglie al seguito. Questa donna sarebbe rimasta al suo fianco fino al termine della rivolta. Si narra che fosse un'invasata profetessa del misterioso culto di Dionisio e che avrebbe previsto per il consorte un futuro di gloria seguito da morte certa. Mai previsione fu più azzeccata. Ora rimane da chiederci circa i motivi per cui un gladiatore avrebbe dovuto ribellarsi al suo status quo, imbarcandosi in un'impresa disperata con un unico finale previsto, ovvero la morte.
Mosaico del I secolo rinvenuto a Leptis Magna. Raffigura diverse classi di gladiatori.
I ludi gladiatori accoglievano reclute di diversa provenienza. C'erano gli schiavi acquistati al mercato dal lanista in persona. Erano per la maggior parte ex combattenti (qualcuno appartenente persino a classi sociali elevate), provenienti dalle regioni assoggettate a Roma. Nel I secolo a.C. celti, traci e germani andavano per la maggiore. A questa "categoria" si affiancavano altri schiavi, quelli caduti in disgrazia o ripudiati dai propri padroni. Sempre al mercato finivano ma a differenza dei primi, erano in catene già da diverso tempo. Infine c'erano gli uomini liberi di estrazione italica. Da un lato individui che avevano perso tutti i loro averi o che erano nell'impossibilità di ripagare i debiti, dall'altro qualche invasato con l'intenzione di provare l'ebbrezza di una nuova vita all'insegna del sangue. Per tutti questi, la carriera gladiatoria poteva rappresentare una svolta, fermo restando che l'età media di vita di un combattente si aggirava intorno ai venticinque anni. Ben pochi poterono bearsi della gloria terrena e dei tanti denari guadagnati in premio. I più valorosi tra i gladiatori venivano considerati veri e propri campioni di incassi, macchine da soldi per il fortunato lanista che li annoverava nella sua scuderia. Monete, donne e qualche lusso ripagavano gli sforzi nell'arena con la "remota" possibilità di vivere talmente a lungo da pagarsi il riscatto per la libertà.
"Pollice verso", olio su tela di Jean-Léon Gérôme, datato 1872 e conservato al Phoenix Art Museum di Phoenix (Usa).
L'inizio della rivolta
Il ludus di Batiato era particolarmente ferreo negli allenamenti e nella disciplina. Spartaco non apprezzava quell’esistenza e da leader qual'era convinse tutti i colleghi a seguirlo nell'impresa. Egli coltivava un sogno, ovvero quello di tornarsene tra i monti della Tracia. La notte antecedente un grandioso spettacolo gladiatorio che si doveva tenere in quel di Capua, ebbe inizio la rivolta. Spartaco, Crisso, Enomao e gli altri due misero fuori gioco le sentinelle di Batiato. Si armarono di spiedi e coltellacci da cucina e tentarono di trascinare fuori dalla scuola tutti i restanti compagni, circa 200 anime. Riuscirono in settanta. Percorrendo le vie di Capua, si imbatterono in un paio di carri che trasportavano armi per gladiatori. Mai dono fu più ben accetto. Infine superarono le porte della città e si diressero verso il Vesuvio a circa 30 Km a sud. Il vulcano era all'epoca una sorta di paradiso. Circondato di boschi, campi e vigneti offriva cibo a volontà. La sua sommità inoltre si stagliava come una fortezza naturale, spesso coperta da nuvole. Dall'alto era possibile far correre lo sguardo fino alle vallate più distanti. Una prima milizia capuana fu mandata in avanscoperta nei dintorni. I gladiatori scesero dal loro nido e l'annientarono facendo incetta di armi ed equipaggiamenti. Nei giorni seguenti la eco dell'impresa degli schiavi corse veloce nelle campagne circostanti. Come scrisse lo storico e archeologo Barry Strauss:
"Nel 73 a.C. l'Italia romana era una foresta secca nel pieno della canicola estiva. Spartaco accese un fiammifero".
Il contesto storico-sociale
La maggior parte dei terreni agricoli del sud Italia era coltivata in estesi latifondi. I possidenti, di solito ricchi senatori o cavalieri esponenti della nobilitas, se ne stavano a Roma, mentre loro uomini di fiducia (vilici), spesso persino schiavi o ex tali affrancati, amministravano le grandi tenute, dirigendo a suon di frustate frotte di gente in catene e nullatenenti. La piccola proprietà terriera era divenuta sempre più rara in seguito alla fine della Seconda Guerra Punica, dunque dal 202 a.C. in poi. Le devastazioni e i saccheggi perpetrati da Annibale nel Meridione e i tanti contadini liberi che erano stati costretti ad arruolarsi nelle legioni per combattere le nuove guerre di Roma produssero la graduale malora degli antichi poderi. Gli speculatori ci misero poco ad accaparrarseli per pochi denari. Il latifondismo esasperato rappresentò, secoli e secoli dopo gli eventi che vi sto raccontando, una delle tante cause del collasso dell'impero romano. Tornado al 73 a.C. i latifundia fornirono a Spartaco un ampio bacino di reclutamento. Si racconta che nei primi giorni della rivolta, affluirono al Vesuvio oltre 10.000 individui, tra schiavi fuggiaschi e liberi impoveriti provenienti dai campi. Il primo romano che si occupò della faccenda "Spartaco", fu secondo alcune fonti (non tutte) un aristocratico di nome Appio Claudio Pulcro (forse quello che servì sotto Lucullo in Oriente negli anni 72-70 a.C.). Questi, per limitare le scorrerie degli ex gladiatori, arruolò alcuni mercenari italici. Il Senato romano dal canto suo approvò noiosamente un provvedimento che dava mandato al pretore Caio Claudio Glabro di occuparsi della questione. Glabro era di estrazione plebea ma vantava una qualche lontana parentela con la Gens Claudia. La sua ascesa politica si arrestò proprio sul Vesuvio. Gli furono forniti circa 4000 uomini, raccolti per arruolamento volontario. Una sorta di milizia territoriale male armata e ancor peggio addestrata. Le migliori legioni di Roma erano impiegate in Spagna contro Sertorio (82-72 a.C.) e in Oriente contro Mitridate (88-63 a.C.), così come i più valenti condottieri dell'Urbe, rispettivamente Pompeo e Lucullo. Il Senato raschiò dunque il barile con la convinzione che una rivolta di schiavi non meritasse altro impegno. Il pretore assediò il vulcano, lasciando incustodito un pendio inaccessibile. Nottetempo Spartaco e i suoi si calarono giù proprio da quel pendio grazie a corde e scale costruite con i tralci di vite selvatica. Aggirarono le posizioni di Glabro e attaccarono l'accampamento romano, conquistandolo. Chi tra i romani, non trovò la morte si diede alla fuga. Glabro scomparve dalla Storia. Gli ex schiavi si portarono via armi, equipaggiamenti, cibo e cavalli, persino le insegne del pretore. Simile sorte tocco alla seconda armata spedita da Roma, sotto il comando di un altro pretore, Varinio. Altri 3000 fanti raccolti per strada e armati alla bene in meglio furono sbaragliati da Spartaco e Crisso. Nel 72 a.C., tra razzie, città messe al sacco, violenze e stupri la rivolta si era evoluta in una vera e propria guerra servile. La truppa del trace ribelle ammontava ad oltre 70.000 elementi. Il Senato lasciò perdere i pretori passando la palla ai due consoli di quell'anno, ovvero Lucio Gellio Publicola e Gneo Lentulo Clodiano con le loro due legioni.
Il detto recita "l'unione fa la forza". Nel 72 a.C. quella tra Spartaco e Crisso terminò. Il primo si diresse a nord nel tentativo di raggiungere le Alpi. Il secondo se ne andò a sud, seguito da molti celti della compagnia e da gran parte dei germani (qualche fonte parla di 20.000/30.000 uomini). In Apulia nei pressi del Gargano questo gruppo fu intercettato dal console Gellio Publicola e sterminato. Crisso se ne andò all'altro mondo. In lui aveva sempre predominato la forza bruta a discapito di tattica e strategia. Il successo alimentò il morale dei romani che si gettarono all'inseguimento di Spartaco, giunto nel frattempo sul Po senza incontrare resistenza. Gli eserciti consolari chiusero quello servile in una morsa senza via di uscita. Il Trace riuscì nell'intento di affrontare le due armate romane separatamente, annientandole entrambe. Lungo la strada si liberò anche dei 10.000 veterani del proconsole della Gallia Cisalpina, Cassio, nei pressi di Modena. La sua armata contava circa 100.000 ex schiavi. La via per le Alpi era aperta ma Spartaco, spinto dai suoi uomini prese la decisione che segnò il suo destino. Fece marcia indietro, puntando di nuovo il sud Italia, direzione Sicilia. A Roma intanto il Senato cercava un salvatore della patria. Nessuno osava farsi avanti.
Io sono Crasso!
Esponente della gloriosa gens Licinia, Marco Licinio Crasso era tra gli uomini più ricchi della penisola italica. Uomo di fiducia di Silla, si era accaparrato i beni dei proscritti mariani per poche monete. Aveva costruito un solido impero economico fatto di appartamenti cittadini e tenute di campagna. Un "ammassa" ricchezze che non disdegnava speculazioni e strozzinaggio. Un uomo duro, tutto d'un pezzo che rifuggiva il lusso a favore di una vita morigerata. Si vantava di preferire il rozzo mattone al levigato marmo. Da molti era considerato un semplice spilorcio. Dal punto di vista militare, era uno dei trionfatori della battaglia di Porta Collina, dove, caricando alla testa dei suoi uomini, aveva abbattuto i mariani come birilli. Silla lo apprezzava più che altro come reclutatore di soldati, cosa che gli riusciva benissimo. Crasso era un nobile avido e arrogante che considerava i denari quale unico mezzo per farsi strada nella vita. Questo atteggiamento lo aveva reso malvisto a una parte dell'aristocrazia romana. La plebe invece da sempre attirata come mosche dalla ricchezza, lo guardava con ammirazione. La sua carriera politica era ferma, almeno fino a quel fatidico anno 72 a.C. Egli voleva diventare console ed eguagliare i successi militari di Pompeo di cui era geloso. Non c'erano legioni da comandare o ulteriori teatri di guerra in quel periodo. La rivolta di Spartaco, pur essendo un "fatto" di secondo rilievo nella considerazione romana, era l'unico palcoscenico da calcare per dare una svolta alla propria esistenza. Crasso non si fece sfuggire l'occasione. Il Senato fu ben lieto di dargli un mandato da pretore e le quattro legioni ex consolari, circa 16.000 uomini. Il riccone ne arruolò di tasca sua altre sei, convincendo persino alcuni veterani delle guerre sillane a riprendere in mano gladio e scudo. Si presentò in guerra con oltre 45.000 soldati di buon livello.
La campagna di Crasso iniziò con la sonora sconfitta del suo legato Mummio, al comando di due legioni. Il pretore reagì rispolverando la vecchia pratica della decimazione; si fece consegnare cinquecento uomini tra quelli di Mummio. Li divise in cinquanta decurie e da ognuna ne trasse un uomo che mandò a morte. Crasso riprese la campagna con maggior vigore conseguendo diverse vittorie, mai decisive. Spartaco messo alle strette si ritirò attraverso la Lucania fino alla stretto di Messina nel tentativo di andarsene in Sicilia. I pirati cilici con i quali il gladiatore aveva preso accordi per imbarcare la sua armata, si dettero alla macchia una volta intascato il compenso, lasciandolo a terra a Rhegium. Le malelingue insinuarono che dietro la precipitosa fuga dei corsari, ci fosse la lunga mano del ricco romano. Questi era indeciso. La sua strategia temporeggiatrice non stava logorando il nemico come aveva sperato. Gli ex schiavi riuscirono persino a rompere l'accerchiamento romano, favoriti da un temporale. Presero la via di Brindisi. La notizia fece infuriare il Senato che richiamò le legioni di Gneo Pompeo dalla Spagna e quelle macedoniche del proconsole Marco Terenzio Varrone Lucullo, fratello del più famoso Lucio Licinio Lucullo impegnato in Oriente nella terza guerra mitridatica. La speranza di Spartaco era invece quella di trovare un imbarco per lidi lontani. Ancora una volta i celti furono in disaccordo. 30.000 di questi si staccarono dall'armata principale per essere sbaragliati nei pressi di un lago non meglio identificato della Lucania. Casto e Gannico che li guidavano morirono, vendendo cara la pelle. Tra diversi tira e molla e scaramucce, Crasso e Spartaco giunsero alla scontro finale.
A sinistra, i movimenti di Crasso (in rosso) e di Spartaco (in blu) all'inizio del 71 a.C. Lo sbarramento applicato da Crasso, costrinse Spartaco a ritirarsi attraverso la Lucania, verso lo stretto di Messina (Licenza Creative Commons - info di attribuzione). A destra, "La morte di Spartaco" nell'illustrazione di Hermann Vogel, datata 1882.
L'epilogo della rivolta
Aprile 71 a.C.; nei pressi del fiume Sele i due condottieri vennero al confronto. Da un lato il disciplinato esercito capitolino guidato da Licinio Crasso, dall'altro la sbandata armata servile. L'ardore degli ex schiavi sembrava essersi affievolito nel tempo. Spartaco si presentò davanti ai suoi, sgozzando teatralmente il suo cavallo per far capire a tutti che quella battaglia avrebbe potuto portare o alla vittoria o alla morte. Lo scontro prese subito una piega negativa per i ribelli. Questi non stavano affrontando dei miliziani male armati e demotivati ma legionari preparati e rabbiosi e in numero pari al loro. Spartaco, intuendo la sconfitta, si gettò nella mischia puntando il capannello dello stato maggiore romano. Giunse in vista di Crasso, trucidando i due centurioni della guardia. Stava per avventarsi sul generale romano quando fu colpito da un giavellotto. Circondato dai legionari, fu massacrato a colpi di gladio. 6000 ex schiavi sopravvissuti finirono crocifissi lungo la via Appia. Altri 5000 fuggirono verso il nord Italia per essere intercettati da Pompeo, fresco vincitore della guerra iberica. Il corpo di Spartaco non fu mai trovato. Possibile che gli siano stati inferti talmente tanti colpi da rendere il suo aspettoirriconoscibile? Oppure egli riuscì nell'ennesima fuga?
Nel dipinto di Fyodor Andreyevich Bronnikov, datato 1878, la fine dei 6000 compagni di Spartaco, sopravvissuti agli scontri con Crasso e Pompeo. Vennero tutti crocifissi lungo l'Appia, tra Roma e Capua.
Conclusioni
Crasso dimostrò di essere un buon generale, ma non un genio. Per quanto duro e determinato, mancava di una dote fondamentale per un condottiero, ovvero lo spirito d'iniziativa. Guidava i suoi soldati con crudeltà, dimostrandosi ferreo e irremovibile in ogni occasione. La vittoria finale su Spartaco gli fu scippata da Pompeo all'ultima curva. A Crasso non spettò il trionfo ma il mirto dell'ovatio, una cerimonia riservata a vittorie di secondo piano. Nel 53 a.C. la sua bocca fu riempita di oro fuso. Crasso morì in seguito alla disfatta di Carre per mano dei parti di Orode II dopo aver trascinato le sue legioni per miglia e miglia nel deserto siriano. Spartaco sognava la libertà. Non era un paladino dell'abolizione della schiavitù. Egli voleva tornarsene in Tracia ma i suoi uomini, gli stessi che egli aveva liberato, non glielo permisero. Spartaco odiava Roma ma non si sognò mai di assediarla. La sua condotta militare fu sempre improntata al pragmatismo, a ciò che realmente un esercito di ex schiavi poteva compiere senza strafare. Fu leale con gli amici, spietato con i nemici. Per onorare Crisso in seguito alla sua morte, costrinse 300 prigionieri romani a combattere come gladiatori fino all'ultimo sangue. Spartaco fu uno dei più valenti condottieri della Storia. Dal suo popolo, i Traci, apprese l'arte della guerriglia, una tipologia di guerra fatta di agguati, escamotage e tattiche "mordi e fuggi". Dai romani, sotto i quali aveva servito come ausiliario, imparò come schierare gli uomini in campo e renderli compatti e ordinati dinanzi al nemico. Non gli riuscì l'intento di trasformare un miscuglio di schiavi, gladiatori e disperati in una legione romana. Le varie etnie presenti, gli interessi divergenti tra i capi e le tante teste calde, resero l'armata ingovernabile nell'ultimo anno della rivolta. Consideriamo le imprese di Spartaco alla luce del suo carisma e del talento militare mostrato. Riflettiamo sul fatto che le ha conseguite con uomini e mezzi inappropriati e di fortuna. Se avesse guidato un esercito di soldati professionisti cosa avrebbe potuto combinare? Il paragone tra il suo genio strategico e quello di Alessandro Magno, Annibale e Scipione l'Africano è davvero così sfrontato?
Bibliografia e immagini
- "I grandi nemici di Roma Antica", Philip Matyszak. Newton & Compton Editori.
- "I grandi generali di Roma Antica", Andrea Frediani. Newton & Compton Editori.
- "La guerra di Spartaco", Barry Strauss. Editori Laterza.
- "Gladiators 100 BC - AD 200". Osprey Publishing Ltd.
- Immagini e fotografie di pubblico dominio, ove non diversamente specificato. Fonte Wikipedia.
Data di pubblicazione articolo: febbraio 2019
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