Articolo a cura di Alessio Valente
Pontremoli: attraversiamo questo piccolo paese della provincia di Massa-Carrara avvolti da una irreale atmosfera medievale. Siamo forse nel più importante centro di tutta la Lunigiana, un'area che si snoda fra Emilia, Toscana e Liguria e che è un vero e proprio ombelico di tutta la storia preromana della penisola. Ci sembra davvero di rivivere un'epoca tanto lontana mentre percorriamo le lunghe salite che ci conducono verso la collina su cui svetta il Castello del Piagnaro, che deve il suo nome alle piagne, ossia le lastre in pietra arenaria che ne ricoprono il tetto.
La sua prima torre pare risalire addirittura alla prima metà del X secolo. E intanto, mentre continuiamo a salire col fiato mozzato dalla fatica e dalla meraviglia, non possiamo evitare di essere rapiti dal borgo medievale che ci accompagna ai lati delle viottole, fra panni stesi, piccoli gesti e gatti che ci osservano silenti. Finalmente giunti a destinazione, possiamo entrare nel castello e immergerci, stavolta completamente, in un contesto medievale quasi del tutto immutato. Ci affacciamo da una delle torri e riusciamo a scorgere tutta la città e la vallata, segnata dallo scorrere del fiume Magra. Da poco caduti nel fascino del mondo medievale, però, stiamo per essere catapultati in pochissimi secondi, il tempo di varcare la soglia di una porta, addirittura nel III millenio a.C.
Il castello di Pontremoli, infatti, ospita dal 1975 uno dei luoghi più affascinanti d'Italia: il museo delle Statue Stele. Forse non rinomate rispetto a quanto dovrebbero essere, le Statue Stele sono un vero e proprio mistero per quanto riguarda la loro origine e il loro significato. Le ipotesi sono numerose e vanno dalla celebrazione funeraria alla rappresentazione religiosa, fino ad arrivare a quelle di natura più utilitaristica, che le vogliono come una sorta di "segnale" da lasciare in aree specifiche e di importanza strategica per le popolazioni abitanti o di passaggio. Una ipotesi, questa, che poggia tutta sulla loro dislocazione. Le Statue infatti sono state rinvenute, nel corso del tempo, tutte quante lungo le valli che costeggiano il fiume Magra e sembrano disegnare delle vere e proprie direttrici che attraversano la zona.
Divise in tre diversi gruppi, A, B e C, a seconda della possibile datazione, che va dal III millenio a. C. all'età del ferro, ci guardano avvolte dal buio e da una illuminazione decisamente suggestiva. Le più antiche, relative ai gruppi A e B, hanno la testa di forma ovale, leggermente "staccata" dal corpo grazie a una rientranza o a un restringimento della pietra.
Quelle più "moderne", invece, hanno un aspetto più realistico e i tratti umani sono riportati con maggiore fedeltà. Tutte, però, condividono un aspetto: l'uomo è rappresentato come un guerriero, con un pugnale, un'ascia o un giavellotto incisi a metà busto. La donna, invece, si riconosce grazie ai seni che sporgono, in rilievo, sul busto. Il materiale con cui sono costruite, invece, è la pietra arenaria, quella pietra tipica delle zone circostanti il Magra di cui, come abbiamo detto, è ricoperto anche il tetto del castello che ci ospita. La tecnica, invece, era ovviamente molto rudimentale. Dopo aver percosso la lastra con degli strumenti in pietra, tracciando così una forma primordiale, il blocco veniva completato creando un bassorilievo, mentre i dettagli, come le dita delle mani, erano affidati alla precisione di una piccola lama di selce.
Le popolazioni stabilite nella zona, e con molta probabilità autrici delle Statue, prendono il nome di popoli Apuani, stabiliti in tutta la zona della Lunigiana da tempi molto antichi. La loro capitale, appunto Apua, pare essere situata proprio nei pressi di Pontremoli, che prende invece il suo nome dal pioppo tremulo di cui sarebbe stato composto un antico ponte, ora scomparso, che attraversava il Magra. Questi popoli erano forti di una importante coesione interna, testimoniata, appunto, anche dalla produzione delle Statue Stele. Fra le testimonianze più autorevoli che ci rimangono di quel popolo, abbiamo quella di Tito Livio, che fra i libri XXXII e XXXV dell'opera "Ab Urbe Condita Libri", ci parla proprio delle popolazioni Liguri, che si spinsero persino ad attaccare il pisano. "Sciolto e veloce", quello ligure era un popolo capace di sorprendere gli avversari sfruttando le caratteristiche e la conoscenza del proprio territorio. Sebbene Tito Livio parli di popolazioni liguri in modo generico, si può facilmente inferire che siano stati coinvolti negli aiuti donati ad Annibale durante la sua discesa dalle Alpi, fornendo ricovero presso le proprie terre allo scoppio del Secondo Conflitto Punico (218-202 a.C.). Fu però sul sorgere del II secolo a.C. che gli Apuani entrarono direttamente in rotta di collisione con l'avanzata Romana, che aveva spinto il popolo dell'Urbe lungo tutta la costa tirrenica, fino ad arrivare a La Spezia, allora Luna, porto ritenuto strategicamente utile per sbarcare le truppe nella penisola iberica. È nel 193 a.C., che inizia dunque la lunga guerra fra i romani e i liguri, che, come detto, si spinsero fino a Pisa. "I consoli (Lucio Cornelio e Quinto Minucio, ndr) non si aspettavano per quell'anno alcuna guerra, ma venne loro portata una lettera da Marco Cincio, che comandava la regione di Pisa […] ventimila Liguri in armi avevano prima messo a sacco il territorio di Luni, e poi superato il confine con la regione di Pisa, si erano sparsi per tutto il litorale." Queste le parole con cui Tito Livio fa iniziare le ostilità fra i due popoli. Ostilità che furono decisamente impegnative per Roma, tanto che, sempre Tito Livio, ci racconta di una lettera di Quinto Minucio pervenuta da Pisa in cui il console ci dice che "La situazione in Liguria era così incerta che non poteva allontanarsene senza la disfatta degli alleati". E ancora, ci narra di come "Ci fu per due volte una situazione di grave pericolo", quando il campo del console fu attaccato dal nemico e difeso a fatica dalle truppe romane. Fu solo, poi, nel biennio che va dal 180 al 179 a. C. che i romani riuscirono a sottomettere le popolazioni liguri, incendiando e devastando i loro villaggi.
Ed è insieme alle Statue Stele, meravigliosi ritrovamenti di quelle tribù preromane, che in quel museo così particolare possiamo ammirare anche un elmo e una lancia, caratteristici di quei guerrieri che combatterono per un periodo relativamente breve, ma intenso, contro le legioni di Roma. Stanno lì ad osservarci, ammaccati dal tempo e, chi chiediamo, se anche da qualche colpo inferto dal nemico, mentre con la mente immaginiamo un campo di battaglia, fra le gole di quelle catene montuose e due eserciti contrapposti, pronti a muoversi guerra. Come già detto, il significato delle Statue è ancora tutto da decifrare. La cosa dona ai reperti un fascino molto particolare, rendendoli a tutti gli effetti una sorta di Stonehenge italiana. Non solo ritrovate nel territorio della Lunigiana, ma anche in Spagna, Corsica, Sardegna e Puglia, rappresentano la testimonianza di un'epoca così distante da noi da rappresentare un vero e proprio mistero, una sorta di Big Bang della narrazione storica di cui non riusciamo a comprendere quanto vorremmo. Una volta usciti dal museo, facciamo ritorno gradualmente verso la nostra epoca, riattraversando all'inverso il nostro cammino fino all'origine della civiltà. Un cammino che abbiamo percorso attraverso le pietre, da quelle medievali a quelle di epoche così remote e meravigliose. Tornati ai nostri tempi, forse saremo un po' cambiati e, quando ci imbatteremo in un piccolo sassolino sulla spiaggia o in un grande macigno in cima a un monte, forse guarderemo a questi oggetti millenari e testimoni di secoli e secoli di storia con un occhio diverso, immaginando la Storia fra arte, vita quotidiana e grandi battaglie.
Bibliografia immagini
- "Cippi, stele, statue-stele e semata", S. Steingräber, ETS Editore.
- "Lunigiana ignota". Carlo Caselli. Tarka Editore.
- "Testo Atlante di Storia Antica", Sebastiano Crinò. Soc. Editrice Dante Alighieri.
- "Storia di Roma dalla sua fondazione" di Tito Livio a cura di M. Scàndola. BUR Biblioteca Univ. Rizzoli.
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- Le fotografie di Pontremoli e del Museo nel Castello del Piagnaro sono di Alessio Valente - tutti i diritti riservati.
Data di pubblicazione articolo: marzo 2019
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